Ero un artista particolare, che poteva servire a qualcosa: una pagina di esperienza di vita, un attimo di vera passione, minuti di sincera confidenza…
In fondo la vita è un letto, dove bisogna centrare almeno un terno, presto e bene… Le donne del resto, mi hanno voluto sempre dare. Difficile è accettare. L’ho imparato a mie spese. Il prezzo è sempre agguantare a loro piacimento. Diventare loro schiavo, è troppo facile…
Luigi Tenco mi trovò in mezzo alla strada che bevevo la pioggia con la bocca spalancata! Con pochi passi mi sarei riparato sotto una galleria, ma non sarebbe servito a niente.
Luigi restò con me sotto l’acqua. Saremmo rimasti là chissà quanto tempo, forse saremmo affogati perché ne avevamo voglia, se non fosse arrivato il sole a schiarire il tutto, improvvisamente. Un sole inutile, che asciugava la pioggia di due poveri artisti, forse coglioni, forse poeti fuori dal tempo.
Luigi aveva la faccia dura da condottiero, gli occhi spiritati di un cucciolo affamato di carezze. Parlava poco con me, e come me si interrompeva frequentemente. Sapevamo che i silenzi a volte valgono più dei discorsi e così finimmo per capirci a sguardi.
Ci vedevamo spesso, ci facevamo delle lunghe telefonate per non sentirci soli, mentre il tempo lavorava a fuoco il suo spirito e travolgeva la sua mente. Non vidi più neanche lui. Si era stufato di fare a schiaffi col suo presente, e un giorno ha voluto perdere… ma poi chissà se ha perso… certo è che un’altra parte di me cadeva nel vuoto.
All’epoca, era la metà degli anni Cinquanta, le ragazze non la davano facilmente.
Poi magari capitava che riuscivi a scappare per un’ora, durante il pomeriggio, e andarti a fare una bella pomiciata sotto Monte Mario. Non sapete quante me ne sono fatte, fra i prati dove adesso hanno costruito il tribunale. Furono quelli gli anni in cui diventai “il Califfo” , proprio perché tutte le donne ce le avevo io… della Dolce Vita è stato detto un po’ tutto, di come un Paese che stava rinascendo volesse buttarsi alle spalle il passato più brutto il mondo e gridare al mondo: “Ho vinto!” C’era il benessere, c’era la voglia di divertirsi e c’era lo Star System: E i paparazzi erano pronti a fissare ogni momento della nostra sbornia, testimoni di attimi per cui chiunque su questo pianeta avrebbe voluto dire: “Io c’ero”. E io c’ero….
Io, Renato Speziali, Gianfranco Piacentini, Beppe Piroddi, Franco Repetti, Maurizio Arena, Renato Salvatori, Gigi Rizzi, Beppe Ercole e pochissimi altri eravamo i cosiddetti playboy, quelli veri…
…belli come il sole, amati dalle donne e invidiati dagli uomini…
I miei errori sono il totale di una sciagurata infanzia.
C’è a chi capita l’infanzia con le case piene di giocattoli, che va in giro con i vestitini di velluto, il doveroso pellegrinaggio da parenti e conoscenti, e ci sono invece i bambini trovatelli. Su per giù uno di quelli. Ad 8 anni fui rinchiuso in un collegio ad Amalfi… Mi trovai a Roma, un posto più accogliente, una città che non sarebbe stata mai mia perché la scelsi tra le tante…allora c’era mio padre, che per me era tutto. A mio modo l’ho amato così tanto da non riuscire ad amare più.…mio padre, che nelle mie convinzioni doveva restare sempre giovane, morì a 38 anni, lasciandomi diciottenne…
La prima volta che mi misero le manette, provai molta pena per me, disprezzo per il resto del mondo e vergona per la memoria di mio padre… io stavo pagando il mio esibizionismo, la mia poltrona il prima fila, la mano tesa che non ho mai ritrattato dopo avere lanciato il sasso.
Uno come me, era un odioso, un superficiale, un montato, uno scomodo, uno difficile, uno insomma che andava punito perché parlava chiaro e non aveva bisogno di nessuno. Io stavo pagando il successo che avevo e la mia faccia tosta, altro che droga. Il casino cominciò tutto con una telefonata.
Una sera mi chiama Roberto Ruggiero, mio amico e avvocato di fresco e mi fa: “Franco ti cerca Squillante…”
“E chi è? ” dico io “ Un cantautore nuovo?”
“Non scherzare” insiste Roberto con tono serio e preoccupato, “è il Giudice Istruttore del processo sulla droga, dove sono implicati Lelio Luttazzi e Walter Chiari”.
Trenta giorni sono tanti e sono pochi. Fuori galera sono un attimo di vita, dentro sono secoli infernali, anche se i condannati o quelli che sono in attesa di giudizio, si arrangiano come possono, inventandosi rimedi di ogni tipo.
“Cara mamma il fattaccio della Droga è un gran colpo che mi servirà per arrivare al successo…” continuavo a scriverle. Quando finalmente ci riabbracciammo, le dissi: “Hai visto? Il gioco è finito… sono tornato. Adesso vedrai che ti combino!
Citazioni liberamente tratte da Ti perdo. Diario segreto di un uomo da strada – Ivano Davoli Editore (1979)