Avevo una Wolkswagen Magiolino. Volle guidarla lui. Fu un viaggio da incubo. Guidava come un ossesso malgrado la macchina più di tanto non andasse. Si era offerto di accompagnarmi da una mia fidanzata a Cremona. Era la figlia di un colonnello degli alpini. Alla fine della cena capii che non l’avrei più vista. Franco fuori della villa si accorse che aveva esagerato un po’, così quando risalimmo in auto mi disse: “ Gianni, tranquillo. Tanto quella non te l’avrebbe mai data”.
A Milano l’accompagnai qua e là per le case discografiche. Il fatto che parlasse con tutte le ragazze, non metteva di buon umore i dirigenti. In un anno era diventato un mito per tutte le donne della discografia italiana. A Milano ha scritto le canzoni più belle della sua vita. Allora si diceva che fosse un paroliere. Aveva uno stile asciutto. Riusciva a racchiudere tutto in tre parole. Era pigro, avrebbe potuto fare ancora di più. Un giorno decise di salire sul palco e cantare. Forse questa scelta ha tolto qualcosa alla sua grande vena autoriale e di poeta in primis. Abbiamo avuto un bellissimo rapporto. Sono contento di essergli stato vicino anche nei momenti difficili della sua vita, con Maurizio Barenson. Erano giorni drammatici. Momenti belli sì, quando creò i Vianella e disse che era il momento di rivalutare la canzone romana.
Essere amico di Franco era conoscere una persona non banale, inusuale. Uno che ti faceva leggere la sua poesia convinto che il suo lavoro era ben fatto. Un tipo non conformista in una città miseranda. Siamo stati grandi amici nell’età più bella. Avevamo vent’anni e lui aveva un’autoironia feroce.
Gianni Minà, giornalista
2013
Testimonianze